Francesco Graziani

Ultima modifica 29 dicembre 2020

GrazianiL'artista

Francesco Graziani nasce a Fermo il 26 aprile 1828. Tronca gli studi ecclesiastici per dedicarsi al canto, sotto la guida del Prof. Francesco Cellini, come il fratello maggiore Lodovico.
Dopo essersi per breve tempo esibito nella Cappella Metropolitana di Fermo, intraprende la carriera teatrale che lo porterà nei teatri più famosi del mondo (Napoli, Milano, Roma, Venezia, Cairo, Londra, Parigi).
L'Enciclopedia dello Spettacolo (Silvio D'Amico, Ed. G. e C. Sansoni, Roma 1958) alla pagina 1662, così giudica Francesco Graziani:
"Fu con Antonio Cotogni e Gian Battista Faure il maggior baritono del suo tempo e, anzi, in linea strettamente vocale, gli compete, forse, il primo posto.
La sua voce si distingueva anzitutto per la sua morbidezza vellutata del­l'impasto, la calda lucentezza dello smalto, il timbro nobilissimo e patetico.
Vantava inoltre un'energia di vibrazioni, una pienezza di suono e una strapotenza di volume assolutamente eccezionali. Al pari dei suoi due più illustri emuli, possedeva un registro acuto esteso e spontaneo; capa­ce persino di inflessioni tenorili: questa facilità, sapientemente inserita nella vasta gamma di tinte, sfumature e gradazioni che scaturiva da un'e­missione facile e sicura (restò leggendaria la grazia e la dolcezza dei suoi "piani"), rese il suo canto singolarmente vario ed efficace.
Capace di virtuose impennate virtuosistiche nel repertorio belcantista, ma anche di slanci travolgenti e d'un calore tipicamente verdiano nel Trovatore e nel Rigoletto; fu impareggiabile nell' Ernani e ne La Traviata, nella quale fu il primo a dare pieno spicco al personaggio del vecchio Germont".
Di Francesco Graziani cantante dice tutto l'autorevolissimo e com­petente giudizio del suo celebre compagno d'arte ed amico affezionato, il sopracitato Antonio Cotogni: "Graziani!... Che voce!... Magnifica, stupenda, mai sentita. Di un volume di un'estensione, di una omoge­neità, e soprattutto di un timbro meraviglioso. Un violoncello. Una mezza voce dolcissima, incantevole, fino al 'sol'. Un violino stadivario! Che naturalezza, che semplicità, che facilità!..."
Graziani era capace di andare a caccia tutto il giorno (era un ottimo tiratore, vincitore di premi in diverse gare di tiro a segno), di sciuparsi in tutte le maniere fino all'ora del teatro, poi indossava tranquillamente il costume e saliva sul palcoscenico come se nulla fosse, sempre fresco, riposato, perfetto.
Un'altra facoltà lo distingueva: una straordinaria memoria musicale, che gli permetteva di cantare opere non eseguite da lungo tempo dando un semplice sguardo a qualche pagina dello spartito.
Tutto Graziani cantava, il lirico, il drammatico, il comico: dalle Nozze di Figaro al Rigoletto. Il suo repertorio non aveva rivali; com­prendeva le opere più significative di Mozart, Donizetti, Bellini, Rossini, Verdi, Flotow, Auber, Meyerbeer, Gounod, Thomas.
Ebbe l'affezionata amicizia e la benevola confidenza di quest'ultimo del quale possedeva autografi, insieme a quelli del Meyerbeer e del Gounod tra gli illustri stranieri; tra gli italiani, oltre al Braga ed il Campana, ebbe in inti­mità lo scrittore della Gioconda, Amilcare Ponchielli.
Fu particolarmente caro a Giuseppe Verdi che per primo dimostrò per questo tipo vocale (baritono), una predilezione che nasce proprio dal motivo che l'aveva reso poco accetto al gusto belcantistico.
Il belcantismo amava ì timbri stilizzati e detestava i timbri realistici; Verdi predilige i timbri realistici, ed è nella voce del baritono che trovia­mo esemplificato alla perfezione il germe di profonda novità immesso dal grande maestro nel tessuto dell' opera italiana a metà dell'Ottocento: voce (è utile ricordarlo) più vicina all' emissione naturale, e perciò più umana ed espressiva.
E sebbene nessun compositore manifestasse per questa voce un affet­to paragonabile a quello nutrito da Verdi, in Francia l'Opéra-comique e il Grand-opéra accorderanno al baritono le grandi parti di Hoel nella Dinorah, di Nelusko nell'Africana, di Amleto nell'opera omonima di Thomas.
Di tutte fu primo interprete il francese Gian Battista Faure, peraltro più basso cantante baritonale che baritono autentico, ma le stesse opere ebbero con Francesco Graziani l'interprete ideale, grazie alla sua adatta e magnifica voce e la sua capacità scenica.
Quando sarà invitato ad eseguire la parte del principe di Danimarca, va a trovare un vero genio dell'arte teatrale - Ernesto Rossi - e lo prega affinché gli dia ripetute lezioni sul modo di intendere e rappresentare il capolavoro di Shakespeare. Ecco perché alla prima esecuzione italiana dell'opera di Thomas alla Fenice di Venezia, il 26/2/1876, da alcuni si disse: "È il Rossi divenuto cantante".
Francesco Graziani non è stato solo l'artista ricercato e desiderato nei principali teatri, ma fu il cantore invocato nei saloni delle sontuose magioni e delle più celebri Corti d'Europa. Frequentatore abituale nei salons del barone Rotchild a Parigi e del Lord Mayor e di altre persona­lità di spicco a Londra.
È stato chiamato più volte, per le grandi serate, alla Corte di Napoleone III; è stato addetto alla corte del Principe di Galles, Re Edoardo VII, del quale era in verità il beniamino.
A Pietroburgo non una, ma più volte viene chiamato alla corte dello Zar Alessandro II, sebbene in Russia la sua presenza fosse accettata solo per i grandi meriti artistici (lui ardente repubblicano non nascosto, non­ché amico di Giuseppe Mazzini).
Alla Corte russa, sempre invitato per grandi solennità, tutti i cantan­ti dovevano cimentarsi in duetti o terzetti. La possibilità di impegnarsi in un assolo era consentita unicamente alla Patti, vera diva del canto e della gola d'oro, l'usignolo di tutte le stagioni, come l'aveva definita l'Imperatore Guglielmo II. Un giorno costei doveva eseguire il Valzer della Dinorah. Ecco che un ciambellano chiama improvvisamente il Graziani e gli dice: "Le Loro Maestà desiderano che cantiate anche voi un assolo", e invocano l'Io t'amerò del maestro Starzieri che era uno dei canti preferiti dal nostro Graziani e che eseguiva a fior di labbra.
Dopo questa serata viene nominato, direttamente dall'Imperatore, "cantante di camera", onore che il Graziani risolutamente rifiuta perché contrario ai suoi ideali.
Quando il grande cantante sente che la sua voce andava appena perdendo, per l’età crescente, il suo magnifico splendore, artista di coscienza e di ingegno abbandona il Teatro nel 1880, a cinquantadue anni per ritirarsi nella sua città natia, godendo agiatamente i suoi ben guadagnati risparmi, che avrebbero potuto essere di vari milioni, se la maggior parte non avesse profusa per il Risorgimento della Patria.
Muore a 73 anni nella sua villa di Grottazzolina, il 30 giugno 1901 fra l’unanime rimpianto delle popolazioni delle due predette località, fra le quali egli aveva trascorso i suoi anni di riposo e dove aveva ricoperto cariche pubbliche di Sindaco nel Comune e Consigliere nell’Amministrazione Provinciale.
Patriota e Cittadino
Francesco Graziani era stato inviato a studiare nel patrio Seminario, giudicato l'istituto più laico di quei tempi. "Però non vi poté perseverare molto tempo, perché insofferente di ogni disciplina ivi usata, e sebbene giovane, già anima ardente di immenso amore per la libertà della patria".
E tutto questo era noto sul suo conto, ma il prestigio nobiliare della sua famiglia e le molte ed assai cospicue aderenze lo fecero circondare di una certa tolleranza.
Purtuttavia i suoi modi franchi ed esperti e la sua esuberanza di vita gli avevano guadagnato il nomignolo di 'abataccio'.
Abbandonati gli studi del Seminario, ha bisogno di formarsi una posizione; fornito com'era di una bellissima voce, congiunta ad altre qualità necessarie per un artista, quali quelle di essere "giovane bello, di forme leggiadre ed artistiche, e sì spigliato era della persona che ogni movenza par che artista lo affermasse", si decide a studiare canto.
Dotato di vivace ingegno e di una eccezionale disposizione al canto, il Graziani inizia la sua carriera nella stimata Cappella Musicale della Chiesa Metropolitana di Fermo, di cui era direttore il noto maestro fer­mano Francesco Cellini, dal 1850 al 1852, quale solista e con l'annuo compenso di 24 scudi romani.
Ma il Teatro lo attirava e per esso si sentiva già maturo.
Dopo i debutti di Ascoli Piceno, Macerata, Firenze, la sua celebrità canora raggiunge ben presto Parigi, Londra, Pietroburgo, Mosca, ed i più grandi teatri d'Europa se lo contendono.
Ma più che l'acquistar gloria nel canto, la sua principale preoccupa­zione era il Risorgimento della Patria. Ama chi amava la libertà, al punto di rifiutare la carica di "cantante di camera" dallo Zar delle Russie Alessandro II; onore che il Graziani, democratico non nascosto, rifiuta.
Anche se era entrato nelle simpatie di quell'austero e assoluto monarca (assassinato dal popolo nel 1881), non ne approvava certo i suoi sistemi tirannici (le impiccagioni, le deportazioni in Siberia, le persecu­zioni ai nichilisti). Accetta solo l'onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia, conferitagli in riconoscimento dei suoi meriti di amministratore della cosa pubblica.
Nonostante i suoi continui impegni professionali, si tiene continua­mente in contatto con tutti i patrioti esiliati dall'Italia e con essi s'ado­pera fattivamente per raggiungere la meta agognata.
Con il Mazzini, con il quale spesso si incontrava a Londra (dove viveva esule), ebbe frequenti discorsi e confidenze sulle sorti dell'Italia. Mazzini inoltre si era accorto che la sua corrispondenza veniva aperta e il suo contenuto comunicato alla polizia austriaca (se ne era procurato le prove scrivendo lettere a se stesso e mettendoci dentro dei granelli di sabbia, che più non ritrovava); per questo spesso si serviva del Graziani per l'inoltro della gelosa corrispondenza ai suoi affiliati in Italia; compi­to questo che il Graziani, svolgeva con grande coraggio, sfidando certe polizie, che per i patrioti apprestavano spesso la forca.
Ha inoltre da Mazzini l'incarico di recare da Lugano a Chieti un plico contenente il piano rivoluzionario segreto per le insurrezioni delle Marche, da consegnare al De Sanctis; al ritorno in Svizzera assicura per­sonalmente il grande Vate dell'esito felice della missione. Il Graziani fra l'altro possedeva all'epoca una villa in Brianza, precisamente a Beldosso, in comune di Erba (Como), vicino quindi al confine svizzero.
E quando nella primavera del 1860 si dovevano provvedere i mille fucili, Mazzini, Garibaldi e La Farina ricorrono a Fermo per avere armi ed aiuti nei volontari; in tale occasione il nostro Graziani si impegna per ingenti somme, ammontanti complessivamente ad oltre centomila lire (un miliardo circa di oggi), come risulta da alcuni documenti nel libro del Comitato Lafariniano ed in quello Mazziniano.
Prima che essere stimato come grande cantante, e lo fu veramente, egli tenne sempre ad essere italiano, e nelle occasioni in cui gli fu possi­bile lo dimostra apertamente, senza temere conseguenze e contro i suoi materiali interessi.
Affiliato sin da giovane alla "Giovine Italia", è aggregato alla Massoneria, dove ebbe alti gradi nella sua loggia. Conosce intimamente Felice Orsini, un grande e magnanimo cospiratore, da lui amato e con il quale ha frequenti incontri a Londra e segrete confidenze, offrendo la borsa, gonfia allora di tante sterline, alla santa causa della congiura per il Risorgimento, che i numi tutelari della Patria benedissero.
Fra i tanti episodi del suo patriottismo, va ricordato quello capitato­gli a Parigi in un caffé del Boulevard des Italiens. Era da poco accaduto l'attentato a Napoleone III (14 gennaio 1858), ed alcuni francesi, seduti ad un tavolo vicino al Graziani, sparlavano contro gli italiani, definen­doli vigliacchi e assassini; evidentemente non avevano compreso che quelle bombe non erano di un volgare assassino, ma di un patriota, non­ché suo amico, che ricordava la nascente libertà della patria soffocata dai francesi (alludeva chiaramente alla Repubblica Romana).
Graziani soffre, ma non può resistere muto ed indifferente dinanzi ad insulti tanto gravi contro l'onore dell'Italia. Quindi si alza di scatto e apostrofa quei francesi, che gli rispondono in malo modo. Ad uno come lui, ammiratore di Garibaldi, sembra colpa grave non difendere il nome dell'Italia; non ha che l'arma del suo braccio, ma gli basta: assale i fran­cesi con tanto impeto che uno finisce scaraventato sotto il tavolo, men­tre un secondo è colpito da una seggiolata; gli altri che potevano avere il sopravvento restano ammirati del coraggio di quel solo italiano che non teme, solo contro tutti, difendere il nome, l'onore della Patria.
In seguito a quell'episodio, sul suo conto fu quindi coniato il motto popolare "Per la voce e per le mani, non plus ultra Graziani".
Ecco chi fu Francesco Graziani: patriota e uomo onesto per eccel­lenza. La sua religione era il libero pensiero, con cui visse e morì; singo­lare espressione di questo modo di vita era l'arredamento, che volle sem­pre, nella sua stanza: un grande Cristo sormontava il suo letto, con ai lati Mazzini e Garibaldi. Anticlericale senza manifestarlo, non rinnegò mai la sua fede cristiana. E sappiamo da sicure testimonianze familiari che, alla sua morte, chiese l'assistenza religiosa dell'amico sacerdote Don Carlo Catalini.
Ma dopo averlo ricordato come un grande e geniale artista e un ita­liano esemplare, va ricordata anche la sua figura di amico leale, caritate­vole e generoso soccorritore del povero. Ai bisognosi mai è mancato il suo soccorso; a molte opere filantropiche ha corrisposto con favore, ade­sione, energia.
La sua diletta Fermo lo ricorda per avergli intestato la strada che col­lega viale Ciccolungo a via Trento Nunzi.
L'amata Grottazzolina, dove, abbandonate le scene, si ritira presso la sua bella villa in contrada Tenna, lo ha voluto prima assessore, poi sin­daco del paese dal 1895 fino alla sua morte (1901); carica, questa, rico­perta con capacità, magnanimità e rettitudine.
L'amministrazione comunale grottese ha voluto onorarlo intestando­gli lo spazio antistante il negozio Buschi Confezioni e la macelleria Romanelli (Largo Francesco Graziani), forse per ricordare la strada che il celebre artista, negli ultimi anni della sua vita, percorreva per recarsi quasi quotidianamente al Castello, dove anticamente era situato il palaz­zo Comunale.


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